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Psicomotricità
nel castello dei fantasmi

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Psicomotricità nel castello dei fantasmi

castelloOggi, dopo anni di sottovalutazione come micro genere letterario, quasi tutte le scienze umane sono concordi nel ritenere la fiaba sede di un patrimonio inestimabile, che permette al bambino di appropriarsi della propria storia e del proprio io Addirittura Bettelheim vi scopre qualità psicoterapeutiche: “in una fiaba, i processi interiori vengono esteriorizzati e diventano comprensibili così come sono rappresentati dalla storia e dai suoi eventi.
E’ per questo che nella medicina indù tradizionale veniva assegnata ad un individuo psichicamente disorientato una fiaba che interpretava il suo particolare problema.
Egli doveva farne l’oggetto della sua meditazione, e ci si aspettava che in qualche modo fosse indotto a visualizzare sia la natura delle sue difficoltà, sia la possibilità di superarle.
In base a quanto una particolare fiaba significava in relazione alla disperazione e alle speranze dell’uomo e ai metodi per superare le tribolazioni della vita, il paziente poteva non solo scoprire il sistema per liberarsi dalla sua angoscia ma anche per ritrovare se stesso, come aveva fatto l’eroe della storia.” ( B.Bettelheim- Il mondo incantato - Feltrinelli)

Le fiabe e le verità infantili

fiabe e verita infantiliNel linguaggio comune, “raccontare favole” equivale spesso a accontare frottole; alcuni ritengono poco educativo narrare fiabe ai bambini, perché esse danno informazioni e risposte fantastiche, e dunque ritenute inesatte o fuorvianti.
Solitamente preferiamo ripararci dietro la positivistica esattezza e neutralità della scienza.
In realtà, le fiabe non parlano un linguaggio razionale, ma un linguaggio emotivo e simbolico.
Si tratta di accettare il passaggio a questo livello (Alice che attraversa lo specchio), per cogliere le verità essenziali che vi sono narrate.
Nella fiaba, gli animali, le piante, gli oggetti stessi acquistano coscienza e intenzionalità, ponendo la fiaba in relazione diretta con l’animismo infantile: “per il bambino che cerca di capire il mondo, sembra ragionevole attendersi delle risposte da quegli oggetti che suscitano curiosità. E, dato che i bambino è egocentrico, si aspetta che l’animale parli delle cose che sono realmente importanti per lui, come gli animali fanno nelle fiabe e come il bambino stesso fa con i suoi animali veri o giocattolo” .... (B.Bettelheim- Il mondo incantato - Feltrinelli)

E’ facile dedurre come per il bambino le “verità” proposte dalla fiaba siano di gran lunga più intellegibili che non le verità razionali proposte dall’adulto, perché tengono conto in modo direi scientifico della sua impostazione mentale.
Non si tratta qui di contrapporre verità a menzogna, risposta giusta a risposta sbagliata:
la fiaba, infatti, non racconta mai “bugie”, ma dà delle risposte su un altro piano, ad un altro livello.
La fiaba risponde ai quesiti del bambino a livello emotivo, che è presente e reale almeno quanto l’esigenza di razionalità posta in modo specifico dall’adulto.
Ma razionalità ed emotività non sono necessariamente contrapposte, non devono escludersi a vicenda;
direi anzi che una sana razionalità poggia le basi in una coscienza affettivamente ricca ed emotivamente equilibrata, capace di immaginazione.

Cultura infantile e Cultura adulta

Io penso che in questa capacità di integrazione tra razionalità ed emotività si fondi la possibilità che la relazione tra adulto e bambino diventi ricca e gratificante per entrambi: non uno scontro tra due culture, dove la più potente colonizza o cancella l’altra, ma un incontro che può fornire un reciproco arricchimento.

Riuscire a fondare un rapporto di questo tipo significa mettere in atto un’azione realmente educativa;
oggi, nonostante le conoscenze siano piuttosto ampie e approfondite, spesso nel rapporto tra adulto e bambino si verifica proprio questo: la mancanza di capacità di fondare un rapporto di empatia, cioè non tanto di capire il bambino ma di stare con il bambino.
La psicomotricità relazionale ha come suo fine specifico quello di instaurare con il bambino proprio quel rapporto empatico, che Andrè Lapierre, padre fondatore di questa disciplina, chiamerebbe di “dialogo tonico”.
maniLa psicomotricità è una pratica, prima che una teoria; una pratica che permette all’adulto di avvicinare i bambino globale, di comunicare con il suo corpo, la sua intelligenza in formazione, con le sue emozioni. Dentro lo “spazio magico” di una seduta psicomotoria si può permettere al bambino di far emergere i suoi conflitti e le sue paure, di dare forma e voce ai suoi fantasmi, all’interno della struttura narrativa del gioco e della relazione con l’adulto.
In questo senso, mi pare che la psicomotricità relazionale e la fiaba presentino delle similitudini, e che l’incontro tra le due possa rivelarsi quanto mai fecondo.
E’ perciò che mi sono permesso di combinare un matrimonio, augurando ai due partner, secondo le migliori tradizioni, di poter vivere a lungo felici e contenti.

Il gioco simbolico

Da tempo sappiamo quale sia l’importanza e il significato del gioco simbolico nel bambino (cfr. Winnicott); grazie alle ricerche ed agli studi di A. Lapierre, esso è diventato lo strumento principale di ogni intervento in psicomotricità relazionale.
Come è noto, il cammino verso la conquista dell’autonomia e l’affermazione dell’identità personale da parte del bambino non è lineare né privo di conflitti.
Il bambino vivrà il passaggio da una situazione evolutiva ad una successiva e più matura con sentimenti ambivalenti: da una parte il desiderio di affermazione spingerà verso la scoperta di nuovi spazi, di più evolute forme di comunicazione; dall’altra ci sarà la paura di abbandonare ciò che fino ad allora ha garantito la sua sicurezza e la sua stessa sopravvivenza. Il bambino proverà dunque la paura dell’abbandono, il timore della divorazione; proverà sentimenti di collera verso la figura dell’adulto che diventa incapace di rispondere ai suoi desideri, o che impedisce la realizzazione dei suoi desideri; sperimenterà il desiderio di possesso assoluto del corpo dell’altro, ma anche la paura di essere posseduto completamente e quindi annullato.
lupoProverà il desiderio di aggredire e uccidere la figura paterna, o materna, ma anche il desiderio di averla tutta per sé, senza rivali.
Queste emozioni, violente e spesso contrastanti, fanno parte del vissuto del bambino, del suo bagaglio emotivo.
Non possono essere negate, represse o colpevolizzate in quanto tali.
L’adulto che conosce i processi evolutivi, sa che il bambino ha bisogno di mettere in gioco queste emozioni, questi vissuti interiori per poterli integrare e controllare.
Chi ha esperienza di sedute psicomotorie, sa quanto spesso i bambini giocano, se viene loro permesso, ad aggredire il corpo dell’adulto: spesso lo “uccidono”, lo “seppelliscono”, per poi magari resuscitarlo, con una parola o con un gesto, alla ricerca della sicurezza perduta;oppure ancora chiedono all’adulto di essere lupo o bestia feroce, di essere strega o matrigna per poter mettere in gioco con questi personaggi i loro vissuti interiori. Durante una seduta, un bambino mi propone: “tu eri una strega, e mi catturavi”. Con un sorriso complice, mi travesto da strega usando un telo rosso: camminando carponi, mi avvicino lentamente al bambino, protendendo una mano come per catturarlo ma lasciandogli tutto il tempo per decidere se farsi prendere oppure scappare.
Per un certo tempo scappa ridendo, correndo forte in cerchio attorno a me; poi si accascia al suolo, rannicchiato in posizione fetale, per farsi catturare.
Sempre con grande lentezza lo avvolgo nel telo, lo dondolo un po', poi lo trasporto, servendomi del telo, facendolo strisciare con con delicatezza sul pavimento.
Lui conserva per qualche tempo la sua immobilità corporea, si lascia manipolare; poi mi dice:
“adesso andavi via un attimo”. Io mi allontano e mi siedo ai bordi della sala; lui si arma di bastone, viene verso di me e urlando “zac! zac!” mi infilza con la sua “spada”.
Io cado a terra, morto; lui mi copre il corpo e il volto con il telo rosso, poi si mette a correre per la sala, sempre brandendo la sua spada.
Dopo poco, torna da me, solleva il telo e mi dice: “adesso giochiamo a ...” cambiando completamente situazione.
Questo bambino non ha fatto altro che mettere in scena quella che era la sua problematica del momento:
liberarsi da un “abbraccio” troppo contenitivo della madre per poter affermare la sua identità come entità separata.
Ha vissuto il piacere dato da questo contatto (farsi dondolare, farsi trasportare) ma anche il desiderio di liberarsi per poter camminare con le sue gambe (uccidere, seppellire questo corpo contenitore per potersene separare), per poi richiedere di nuovo la presenza, resuscitandolo; ma si tratta di un’esperienza ad un altro livello, non più come corpo contenente, ma come complice di un nuovo gioco. Egli ha potuto vivere una sua situazione e delle sue emozioni estremamente reali in un contesto immaginario, dandogli una forma narrativa.
Questo contesto immaginario gli permette di non provare sensi di colpa verso la madre reale, perché l’impulso aggressivo è stato diretto verso il personaggio “irreale” della strega.
Attraverso il gioco il bambino ha potuto elaborare simbolicamente un problema che lo preoccupava e ne è uscito, probabilmente, rinforzato.

Dal racconto al vissuto

Il bambino crea, o meglio utilizza, personaggi, situazioni, luoghi fantastici avvalendosi delle sue straordinarie doti immaginative, scegliendo e costruendo ogni personaggio in modo che si adatti e che sia rappresentativo della sua particolare situazione, del suo momento evolutivo.
Ma il bambino non crea dal nulla:
usa per sé, integra immagini percepite dall’esterno, e le rielabora nella misura in cui hanno colpito la sua immaginazione.
Luoghi e personaggi entrano a far parte del patrimonio fantastico del bambino attraverso le esperienze,i racconti, e, in misura sempre crescente, attraverso le immagini televisive e i giochi digitali. Il bambino cattura queste immagini e a tempo debito le investe delle proprie emozioni, dei propri vissuti. E’ quindi importante che l’adulto recuperi il ruolo di narratore, per aiutare il bambino a costruire un patrimonio fantastico qualitativamente ricco, non condizionato solamente da mamma TV e videogiochi vari.
bimbiPurtroppo non sempre l’adulto di oggi assume questo compito, e dunque questo spazio culturale rimane spesso desolatamente povero e incompleto.
Questa considerazione mi ha spinto a riservare, all’interno delle sedute psicomotorie, uno spazio per il racconto, o meglio per quella che io chiamo narrazione consapevole.
Infatti ad ogni bambino non tutte le fiabe sono sempre utili; piuttosto gli serviranno i racconti che investono le problematiche che egli sta vivendo.
Se narriamo qualcosa che non incontra il suo bisogno, il racconto passa e va, senza lasciare tracce significative nella memoria del bambino.
Dunque occorre porre la dovuta attenzione nella scelta della storia da raccontare, cercando di mettersi in sintonia con la storia e le immagini che il bambino, magari ancora in modo confuso, sta mettendo in gioco.
Occorrerà magari proporne più di una:
infatti sarà solo la reazione del bambino al racconto a darci il feed-back sulla nostra scelta.
Se ci sarà attenzione, piacere nell’ascolto, richiesta di una ripetizione vorrà dire che abbiamo colto nel segno; altrimenti sarà meglio attendere e riproporre in seguito un’altra storia.
E’ importante non crearsi delle aspettative immediate, non cercare delle risposte esplicite del bambino al racconto: la fiaba lavora a livello inconscio, e occorre lasciarla lavorare in pace.
Il bambino può aver bisogno di tempo per integrare, per far sedimentare ciò che ha ascoltato; può aver bisogno di riascoltare la stessa fiaba diverse volte, per integrarla meglio. Si tratta, come molto spesso in questo mestiere, di aver pazienza, di saper aspettare. Se le immagini della fiaba saranno utili al bambino per elaborare un suo vissuto personale, egli pian piano le tirerà fuori nelle sue attività, nei suoi giochi. Diventeranno uno strumento, un oggetto utile a creare dei giochi simbolici, a far evolvere la problematica del bambino.

“Giochiamo che io ero...”

giochiamo che io ero

E’ questo che può avvenire in una seduta di psicomotricità relazionale: il ruolo dell’adulto è quello di guidare il bambino, con pazienza e attenzione, in questo cammino, dandogli la possibilità di costruire, di vivere la sua fiaba e, mi auguro, di trovare il suo lieto fine, così come ha fatto l’eroe della storia.

 

 

Dott. Petitti Carlo
Progetto Psicomotricità – giugno 94